L’aperitivo disubbidiente

Su “La Stampa” di domenica leggo questo articolo di Andrea Bucci.
L’aperitivo disobbediente (e soprattutto recidivo) si è concluso con una trentina di verbali per non aver osservato le restrizioni anti Covid. Ma Rosanna Spatari, titolare del bar La Torteria di via Orti a Chivasso, è da ottobre che sfida il sistema in barba a qualsiasi regola: «Vergogna, io non chiudo» urlava ieri ai carabinieri. Una protesta esagitata e fuori dalle regole.
Come ogni pomeriggio, erano una trentina i clienti che si sono dati appuntamento davanti al locale all’ora dello spritz. Nessuno di loro, incredibilmente, indossava mascherina e addirittura in qualche caso gli aperitivi venivano serviti al banco. Poi all’arrivo dei carabinieri di Chivasso e degli agenti della polizia locale i clienti dentro e fuori dal bar, nel frattempo, erano addirittura raddoppiati.
Ma la signora Spatari alla vista degli uomini in divisa è andata ben oltre la semplice e pacifica protesta, insultando le forze dell’ordine che invitavano tutti a lasciare il locale: «Non potete far uscire i clienti. Dai criminali non andate mai. Andate solo dalla gente che lavora. Siete il braccio armato della politica. Vergognatevi. Non fate lavorare la gente. Gli autogrill possono lavorare e noi no». E poi insulti e ingiurie verso le divise.
Ma lo show della commerciante contro le forze dell’ordine è stato accompagnato da applausi di clienti e, forse, anche di qualche curioso. Fuori dal locale c’erano anche diverse partite Iva che hanno un’attività di fornitura per servizi funebri. Anche lui era arrabbiato: «Anche la mia attività sta pagando un prezzo altissimo».
L’intervento di ieri è solo l’ultimo episodio perché Spatari ha già collezionato decine di verbali dai carabinieri. A questi si sommano anche quelli della polizia municipale (almeno nove interventi) e un paio della Guardia di finanza. E c’è una denuncia alla procura di Ivrea per non aver rispettato l’ordinanza di sospensione dell’attività imposta dopo il primo verbale.
«Non chiudo perché abbiamo bisogno di lavorare. Devo mantenere una famiglia. Tutto quello che succede qui è legale», diceva ieri negando la realtà. Poi ha chiamato in causa addirittura la Costituzione facendo riferimento agli articoli 1 e 41: «È un braccio di ferro tra noi e il governo. Voglio denunciare anche la discriminazione di alcune categorie. Stiamo dimostrando con la disobbedienza civile che noi possiamo lavorare e tornare alla normalità». All’obiezione che da lunedì anche la provincia di Torino torna a essere in zona arancione ribatte sollevando ulteriori lamentele. «Non potrei far entrare i clienti dentro il locale comunque».
Alle 7 della sera quando il clima era un po’ più disteso, i carabinieri e la polizia municipale sono andati via. Ma al banco non si è mai smesso di servire gli aperitivi. E oggi, Rosanna Spatari riaprirà come se nulla fosse accaduto. Ennesimo verbale in vista.

Sicuramente la “signora” penserà di aver ragione.  Io non la giustifico assolutamente perché da sempre sono abituato alla regola per cui le leggi fin che sono in vigore vanno rispettate. Si possono fare azioni per farle cambiare, ma si devono rispettare, altrimenti è il caos. Non la giustifico e al contempo posso però forse comprenderla. Chi non giustifico e non comprendo sono i clienti. Loro non hanno nessun motivo per non osservare la legge. Nessun motivo per essere lì. E’ davvero così fondamentale un aperitivo al bar? Non pensano che potrebbe costare anche la vita se non a loro magari a qualcuno che vive con loro? Se un loro congiunto dovesse ammalarsi di Covid perché non hanno rinunciato all’aperitivo al bar potrebbero mai perdonarselo?

Non vivo a Chivasso. In ogni caso anche quando sarà tutto finito non andrei mai in quel locale. Mai.

E’ ora di fare di più

Io non so cosa si potrebbe fare, ma sicuramente qualcosa ormai va fatta. Non si può  tollerare oltre.  Se potesse essere utile concedere a Patrick Zaki la cittadinanza italiana, non si perda altro tempo.  Questa vicenda è una vergogna divenuta intollerabile.

Grazie, Cirio

Leggo sul “Corriere della Sera” un articolo a firma di Francesca Angeleri e Giulia Ricci sul costo dei tamponi rapidi in Piemonte, non uguali in tutta la Regione e, pare ì, i più cari d’Italia. Avevo già avuto questo sospetto, visto che mio figlio, che ne aveva avuto bisogno, e si era recato in un farmacia piemontese aveva speso ben 45 euro.  Ma ecco cosa scrive il Corriere:

Cinquanta euro, un po’ di meno, quaranta, se si è fortunati. È questo il prezzo medio di un tampone rapido in Piemonte, a meno che non si abbia il tempo di andare a caccia del Sacro Graal della farmacia che sceglie di scontarlo di qualche decina di euro. Numeri che ci fanno guadagnare il podio per i costi meno accessibili d’Italia, dove molte Regioni hanno fatto accordi con i privati e le associazioni per calmierare i prezzi dell’accertamento rapido che rivela il contagio o, al contrario, libera dall’ansia.
La domanda, quindi, è: perché il governatore Alberto Cirio e l’attuale giunta di governo non l’hanno fatto? I tempi più difficili, quelli in cui nulla ci era concesso sapere, quelli in cui a ogni colpo di tosse pensavamo fosse la fine e non sapevamo come avremmo potuto porre rimedio, sembrano dietro le spalle. Oggi, per lo meno, possiamo farci un tampone. Ci sono ambiti, come gli studi televisivi e gli shooting fotografici, in cui i professionisti possono lavorare in serenità previo test rapido prima di cominciare.
Ma le persone comuni? Volendosi sottoporre a un molecolare, le attese sono a dir poco lunghissime e i prezzi da capogiro, 100 euro in media. Ma se la velocità è un grande pregio del rapido, non lo è di certo il costo, che lascia fuori un enorme fetta di popolazione. Anche solo una famiglia di quattro persone, che per andare a trovare i nonni in tranquillità dovrebbe sborsare 200 euro in un solo colpo.
Una situazione simile a quella dell’Alto Adige e forse leggermente più fortunata (ma per pochi euro) solo rispetto alla Liguria. Perché la maggioranza delle Regioni, invece, hanno firmato accordi con le associazioni dei farmacisti (Federfarma in particolare) o le cliniche private per calmierare i prezzi, e mettere un tetto massimo di costo alla prevenzione (e alla cura verso gli altri).
I più fortunati sono i residenti in Emilia Romagna, che sborsano 15 euro, stessa tariffa proposta dalla Sicilia (ma ora bloccata da un ricorso al Tar). E poi le Marche e la Sardegna, con 18 euro, Lazio, Puglia, Campania, Umbria, Toscana, 22 euro, circa 25 in Abruzzo, tra i 20 e i 25 in Calabria, massimo 26 in Veneto e Friuli Venezia Giulia, 30 nella provincia autonoma di Trento e 36 in Valle D’Aosta. Trenta euro costa anche in Lombardia, dove è la Regione a riconoscere alle farmacie 12 euro per ogni test effettuato.
In Piemonte, invece, come si legge in una comunicazione di Federfarma, «il tampone rapido non è a carico del sistema sanitario regionale ed ha un costo di 43 euro». In media. Ma oltre ai prezzi ben più bassi che si trovano in altre regioni, oltre confine è ormai noto che in molti posti i rapidi sono gratuiti e a disposizione. In Francia, ad esempio, è stato così da subito.
La farmacista torinese Elena Boidi Trotti vive dal 2007 a Lione, dove lavora alla farmacia dell’hospital Pierre Garraud e anche in una clinica: «In Francia sono sempre stati gratuiti, sia in farmacia che negli studi medici che a casa. Un test di per sé costa 7 euro, a seconda della prestazione vengono fatturati diversamente all’equivalente del nostro servizio sanitario nazionale. Addirittura il giorno di Natale, in cui il coprifuoco era allentato, c’è stato un test a tappeto e gratuito ovunque, anche all’uscita delle metro». E così è anche in Svizzera e in Inghilterra, dove ogni cittadino avrà a disposizione due tamponi rapidi a settimana. E vi pare poco?

Eh… che dire: grazie Cirio. Ricordiamocene alle prossime elezioni regionali.

Definizioni

Non voglio entrare pure io nella polemica su quanto detto da Michela Murgia sul Generale Figliuolo e le divise (posso dire che in parte sono d’accordo ma non del tutto). Posso dire però che trovo come sempre indegno la campagna d’odio che qualche “personaggio” le ha scatenato contro. travisando – volutamente – quanto la scrittrice aveva affermato.  Questi squallidi personaggi, inoltre, l’hanno definita “pseudo intellettuale” o “presunta intellettuale“. A parte il fatto che non mi risulta che la Murgia si sia mai autodefinita “intellettuale” – parola fra l’altro ormai desueta e antica come il tempo in cui certi partiti di destra vorrebbero riportarci, – e se lei è una “pseudo intellettuale”, loro cosa sono? Veri ignoranti?

La brava “giornalista”

Già nel 2019 scrivevo “Ma che dire poi di Maria Giovanna Maglie, che alcuni si ostinano a definire “giornalista” o addirittura “opinionista” (ma il grave è che venga intervistata, secondo me) che ha detto “Se Greta non fosse malata vorrei metterla sotto con la macchina” aggiungendo che sono molte le persone che lei vorrebbe “mettere sotto con la macchina”. Sorvolando sulla frase in sé non proprio degna di chi, se giornalista, dovrebbe avere un modo di esprimersi maggiormente corretto, quale turba emotiva può avere avuto la signora per avere questi desideri? Poveretta”.
Il tempo non l’ha cambiata rendendola più simpatica e meno faziosa. Guai a toccare la Regione Lombardia e la Lega. Sul suo twitter (che ormai in pochi leggono perché sono più le persone che ha bloccato di quelli che la seguono – è molto democratica) ha postato questo bel pensiero

Da una donna a una donna. Io lo trovo vergognoso, semplicemente vergognoso. Tutto perché Chiara Ferragni aveva denunciato il fatto che la nonna di suo marito era stata chiamata per la vaccinazione solo dopo la sua denuncia su Instagram. Non per un eventuale attacco a lei.  Guai a chi le tocca la Lega … Sì Sì: proprio democratica la “signora”.

La legge Zan

Io continuo a chiedermi come sia possibile che qualcuno voglia negare dei diritti ad altre persone quando concederli non toglierebbe nulla a chi li nega. E’ davvero un concetto che non riesco a capire e che mi fa incazzare profondamente.
Non capisco neppure tutte le critiche che in rete colpiscono Fedez e Chiara Ferragni: se non ti sono simpatici non seguirli, ma seguirli su Instagram solo per lasciare commenti di odio è patologico secondo me. E comunque su quanto afferma Fedez in questo video sono completamente d’accordo.

Oggi è il Carbonara Day #carbonaraday

Lo so, arriviamo da giorni in cui sicuramente si è mangiato troppo. Ma oggi si deve festeggiare il “Carbonara Day”, di cui vi avevo parlato nel 2018.

Per chi non lo sapesse oggi è il “Carbonara Day” e non solo in Italia. Si celebra questo piatto in tutto il mondo, il 6 aprile di ogni anno.  Lo hanno istituito dallo scorso anno le associazioni Aidepi (Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) e Ipo (International Pasta Organisation). L’hastag è ovviamente #carbonaraday e bisognerebbe utilizzarlo sui social per scambiare varianti sulla ricetta originale perché, dicono i promotori, la carbonara è così buona che volte è irresistibile anche con ingredienti sbagliati o inusuali. Io la Carbonara migliore l’ho sempre mangiata a Roma e, d’altra parte, il piatto ha origini perlomeno laziali, se non proprio di Roma città. Si parla quasi sempre di “spaghetti alla carbonara”, ma proprio a Roma in un ristorante vicino al Teatro Sistina, ne avevo mangiata qualche anno fa una davvero ottima fatta con le mezze maniche rigate.  Solo a scrivere mi viene una gran voglia di andare a Roma e di mangiarmi una carbonara!
Oggi forse conviene mettere da parte la dieta e farsi davvero una bella carbonara: che ne dite? La ricetta? Eccola:
Ingredienti Guanciale 150 g, Tuorli di uova medie 6, Pecorino romano 50 g, Sale fino q.b.,  Pepe nero q.b. Per preparare la carbonara ovviamente cominciate mettendo sul fuoco una pentola con l’acqua salata per cuocere la pasta. Nel frattempo eliminate la cotenna dal guanciale e tagliatelo prima a fette e poi a striscioline spesse circa 1cm . La cotenna avanzata potrà essere riutilizzarla per insaporire altre preparazioni. Versate i pezzetti in una padella antiaderente e rosolate per circa 15 minuti a fiamma media, fate attenzione a non bruciarlo altrimenti rilascerà un aroma troppo forte. Nel frattempo tuffate la pasta nell’acqua bollente e cuocetela per il tempo indicato sulla confezione. Intanto versate i tuorli in una ciotola,  aggiungete anche la maggior parte del pecorino previsto dalla ricetta – la parte restante servirà per guarnire la pasta -. Insaporite con il pepe nero, amalgamate tutto con una frusta a mano. Aggiungete un cucchiaio di acqua di cottura per diluire il composto e mescolate. Intanto il guanciale sarà giunto a cottura, spegnete il fuoco e tenetelo da parte. Scolate la pasta al dente direttamente nel tegame con il guanciale e saltatela brevemente per insaporirla. Togliete dal fuoco e versate il composto di uova e pecorino nel tegame, saltate la pasta per amalgamare. e se dovesse risultare troppo asciutta potete aggiungere poca acqua di cottura (13). Servite subito la carbonara insaporendola con il pecorino avanzato e il pepe nero macinato. (tratto da giallozafferano.it)

Foto di un bel piatto alla Carbonara cucinato da mia moglie nel 2018:

Giornata Mondiale del Teatro 2021

“Questo è un momento così difficile per lo spettacolo dal vivo e molti artisti, tecnici, artigiani e artigiane hanno lottato in una professione già piena di insicurezze.
Forse questa insicurezza sempre presente li ha resi più capaci di sopravvivere, con intelligenza e coraggio, a questa pandemia.
La loro immaginazione si è già tradotta, in queste nuove circostanze, in modi di comunicare creativi, divertenti e toccanti, naturalmente soprattutto grazie a internet.
Da quando esistono sul pianeta, gli esseri umani si sono raccontati storie. La bellissima cultura del teatro vivrà finché ci saremo.
L’urgenza creativa di scrittori, designer, danzatori, cantanti, attori, musicisti, registi non sarà mai soffocata e nel prossimo futuro rifiorirà con una nuova energia e una nuova comprensione del mondo che noi tutti condividiamo.
Non vedo l’ora! “
Helen Mirren
 
Tradotto da Roberta Quarta del Centro Italiano dell’International Theatre Institute
Naturalmente i teatri oggi in Italia non aprono. Nessuno del resto aveva creduto alle parole di Franceschini.

In un’intervista al quotidiano Il Resto del Carlino, il regista ed attore Saverio Marconi, punto di riferimento in Italia per tutti gli appassionati di teatro musicale, ha detto: «Siamo fermi dal febbraio del 2020, da più di un anno, quando avremmo dovuto fare tappa a Milano con la tournée di Grease. Il problema principale è il fatto di non conoscere la situazione e cosa succederà dopo. Abbiamo provato a fare programmazione fissando qualche data, ma è impossibile, perché bisogna rimandare di continuo. Non possiamo sapere quando ripartirà il teatro; era stato detto alla fine di marzo, ma siamo rossi. L’altra incognita, per quando sarà possibile riaprire, è: come reagirà il pubblico? Ma avrà paura?» Qual è la sua speranza? «Che siano fatti vaccini a tappeto per tutti, di modo tale che verso settembre o ottobre tutta la popolazione abbia ricevuto le dosi. E in autunno si possa ricominciare regolarmente. Abbiamo visto che una riapertura a metà non funziona, e non avrebbe senso neanche portare sul palco solo monologhi. Fare teatro significa stare insieme, toccarsi. Quindi bisogna procedere prima possibile con i vaccini, riaprire e poi avere belle idee».

Abbiamo proprio bisogno di caregiver?

Fino a qualche tempo fa il termine “caregiver” era usato tutt’al più in ambito specialistico. Ora che Zaia lo ha sdoganato, sbagliandone pure il significato, se ne fa un gran uso.  Usare il termine “badante” o “colui che assiste” sarebbe troppo desueto? Io non credo, anche perché sono davvero convinto che non tutti conoscano la parola caregiver.  L’altro giorno anche il Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti ne ha fatto sfoggio in un tweet scrivendo “oggi sono iniziate le somministrazioni ai pazienti ultrafragili, partendo proprio dai malati di fibrosi cistica e dai loro caregivers“. Non poteva scrivere e da chi li assiste? Avrebbe anche usato meno caratteri, che su Twitter è un particolare importante. E poi comunque le parole straniere usate nella lingua italiana restano invariate al plurale, quindi 1 caregiver , 2/10/100 caregiver.  Nessuno scriverebbe o direbbe sports, no?