La lettura di oggi – Un’altra bufala da Salvini

Carissimi fan del “Capitone“, vi volete rassegnare a capire che anche lui, come tanti altri leader di partito eh per carità, vi prende spesso in giro? Oggi vi propongo di leggere questo articolo di Fanpage di Annalisa Cangemi.

Durante l’ultima puntata di ‘Di Martedì’ su La7, dello scorso 8 ottobre, Matteo Salvini ha mostrato una foto: “Un banalissimo orecchio di un agente della polizia penitenziaria preso a morsi da un detenuto nordafricano, mi sono rotto le palle che i nostri uomini della sicurezza vengano aggrediti da delinquenti che arrivano dall’altra parte del mondo”, questa la sua denuncia. Giovanni Floris gli aveva posto una domanda sui suoi rapporti con Savoini, e sul caso della presunta tangente offerta dai russi per finanziare la campagna elettorale della Lega. Ma Salvini ha sapientemente evitato di rispondere, spostando l’attenzione sul suo documento fotografico, che a suo dire era una prova di un’aggressione subita da un agente della polizia penitenziaria nel carcere di San Gimignano, struttura finita già sotto i riflettori nelle scorse settimane, in seguito alla notizia della sospensione di quattro agenti penitenziari, avvenuta nell’ambito di un’indagine che ha interessato 15 poliziotti. La denuncia in quel caso era partita da alcuni detenuti, in merito a presunti pestaggi avvenuti all’interno del carcere. Ma la notizia del morso, rilanciata poi da Salvini sui suoi canali social, si è rivelata una bufala: si sarebbe infatti trattato solo di un incidente, come ha confermato il segretario regionale del Sappe Donato Capece. Il detenuto avrebbe infatti lanciato un fornello a gas all’interno della sua cella, come reazione rabbiosa all’impossibilità di effettuare una telefonata non prevista, che gli era stata già negata in precedenza. L’agente aggredito, colpito quindi per sbaglio, è stato trasportato all’ospedale Le Scotte di Siena, dove i medici gli hanno dato 12 punti di sutura.
La sorella della persona aggredita è stata la prima a smascherare la versione dei fatti diffusa dall’ex ministro dell’Interno. La donna, Francesca Miranda, ha spiegato su Facebook come sono andate davvero le cose: “Ancora una volta questo individuo si è dimostrato un opportunista di cui l’Italia non ha bisogno. È di mio fratello quell’orecchio. Ispettore nel carcere di San Gimignano è stato colpito da un fornello lanciato attraverso lo spioncino della cella. Non sai neanche di cosa si tratta, ma usi le disgrazie di chi rischia la vita, lavorando per lo Stato, mentre tu rubi i soldi agli italiani. Sparisci, vergogna di chi lavora!”. In un altro post è stata la vittima dell’aggressione, Alessandro Miranda, a parlare direttamente, ringraziando per le parole di solidarietà ricevute: “Mi preoccupo per il mio udito sperando che ritorni come prima, ma ciò che mi preoccupa più di tutto sono le ferite dell’animo”. E ancora: “Io sono un ispettore del glorioso Corpo di Polizia penitenziaria. Quello che con sacrificio e abnegazione, 365 giorni l’anno, rischia la propria vita per produrre sicurezza sociale. Siamo il baluardo della società, che attiene ai provvedimenti restrittivi della libertà personale. Un lavoro duro e difficile. Un lavoro che va oltre i nostri compiti. Facciamo anche gli psicologi, i mediatori, e molto di più. Tutto si può dire, ma mai e proprio mai che andiamo oltre i nostri obblighi e doveri”.

 

 

La lettura di oggi: I miei amici di New York

Se avete letto i miei post su New York, l’ultimo è a questo link, sapete che vi consiglio sempre una pizza da “Sottocasa” a Brooklyn, dicendovi che è la migliore di New York. E ho aggiunto “Chiedete di Luca o di Laura e dite che vi mando io.  Ora c’è anche una “filiale” ad Harlem!“. Ebbene: finalmente Luca ha conquistato una meritata segnalazione anche su “Gambero Rosso“, che gli ha dedicato un ampio servizio che non potete perdervi!

Lo trovate a questo link!

Nella foto qui sotto eccomi da “Sottocasa” a Brooklyn con Laura e Luca

La lettura di oggi : I migranti e i reati

Il fine settimana appena concluso ha visto, prima di tutto, il brutto, doloroso episodio di Trieste dove hanno perso la vita due agenti di polizia. Un fatto davvero triste che avrebbe richiesto solo preghiere e silenzio. Naturalmente non è stato così perché il fatto è stato immediatamente strumentalizzato e i social si sono riempiti di post razzisti pieni di odio e di ignoranza. Non credo sia il caso di aggiungere nulla, tranne segnalare a chi non lo sapesse che, oltre ad essere un malato psichico, si trattava di un cittadino della Repubblica Dominicana (se non lo sapete andate a vedere dove si  trova) nato in Italia: la sua famiglia non era arrivata in Italia con un barcone o con una nave delle ONG. Rassegnatevi.

Poi c’è stato il discorso del Capo della Polizia Gabrielli che ha detto due cose: su una gli amici sovranisti hanno o sorvolato o accusato il Capo della Polizia di “affermazioni surreali” . Mi riferisco a “Non sono d’accordo sulle multe alle Ong”: qui subito Salvini si è affrettato a rispondere, con la sua consueta eleganza ed educazione,”Pensi a proteggere i suoi uomini

Un altro passaggio del discorso di Gabrielli ha invece dato l’avvio ad una serie di dichiarazioni e post a sostegno della sua tesi, quando ha detto “C’è un dato inequivocabile: da 10 anni in Italia i reati fanno segnare un trend in calo complessivo. Ma c’è anche, negli ultimi anni, un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati. Nel 2016 – ha ricordato Gabrielli – su 893 mila persone denunciate e arrestate, avevamo il 29,2% degli stranieri coinvolti; nel 2017 la percentuale è salita al 29,8%, l’anno dopo al 32% e nei primi nove mesi del 2019 il trend è lo stesso, poco sotto il 32%. Il fatto che gli stranieri presenti nel nostro Paese, tra regolari e no, sono il 12%, dà la misura del problema“. Ecco: in questo caso ovviamente senza alcun spirito critico le sue affermazioni sono state salutate con entusiasmo dai soliti Meloni, Salvini & C e dalla massa di “io non sono razzista ma” che non smette mai di scrivere post sgrammaticati e grondanti odio sui social.

Qualcuno però al Capo della Polizia ha risposto, confutando in modo netto questi dati. Si tratta del giornalista Francesco Cancellato, sul sito fanpage.it, che ha scritto

“I dati sulla criminalità ci dicono che, da 10 anni, c’è un trend in calo complessivo dei reati. Ma c’è anche, negli ultimi anni, un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati”. Così il capo della polizia Franco Gabrielli, intervenendo al Festival delle Città a Roma ha reiterato uno dei più grandi luoghi comuni del dibattito politico italiano: quello di una correlazione tra l’aumento degli stranieri nel nostro Paese e il numero dei reati commessi. Un luogo comune, ma sarebbe meglio parlare di una bufala conclamata, o – ancora meglio – di una truffa statistica. Grave, perché altera le percezioni dell’opinione pubblica, inquina il dibattito politico e porta a conclusioni che giustificano persino la violazione della Costituzione o dei più basilari diritti umani: ad esempio, se gli stranieri sono più delinquenti di noi, se con l’immigrazione importiamo criminalità, chiudere i porti è uno strumento difensivo, a tutela della nostra sicurezza. No? No.
Primo: perché gli stranieri non fanno aumentare la criminalità.
Intendiamoci, magari nemmeno la fanno diminuire. Semplicemente, sono due variabili indipendenti l’una dall’altra. Per dire, dal 2011 a oggi il numero degli stranieri residenti è aumentato del 16% e il numero di reati complessivi denunciati è diminuito di circa il 10%. Allo stesso modo, i reati hanno continuato a diminuire anche quando gli sbarchi dei richiedenti asilo si sono drasticamente ridotti, come nel corso degli ultimi due anni. Non solo: tra il 2003 e oggi l’arrivo di quattro milioni di migranti non ha prodotto, come ci viene raccontato, un aumento del tasso di detenzione, che si è anzi ridotto di un terzo, scendendo dall’1,16% allo 0,40%
Due: perché gli immigrati regolari commettono, in percentuale, lo stesso numero di reati degli italiani. Sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati per i vari delitti, quelli senza permesso di soggiorno sono quasi il 70% per le lesioni volontarie, il 75% per gli omicidi, l’85% per i furti e le rapine. In altre parole, non è l’etnia, né la provenienza, né il background culturale che definisce il problema. Al contrario, è la clandestinità, l’impossibilità di poter avere un lavoro, una casa, un sostegno al reddito in quanto irregolari. Clandestinità, peraltro, che per effetto della legge Bossi-Fini è di per se, un reato. Banalizzando, potremmo dire che chiunque sia clandestino delinque per il solo fatto di esserlo.
Tre: perché il più grande fattore di recidività di un reato è il carcere. I dati raccontano infatti che il tasso di recidiva sia del 68,4% tra coloro che hanno scontato una pena in carcere e solo del 19% tra coloro che hanno scontato una pena in misura alternativa. Semmai il problema è che gli stranieri, soprattutto per le pene di breve entità, quelle fino ai cinque anni di reclusione, finiscono in carcere molto più degli italiani. Il rapporto si inverte, per le pene dai cinque anni in su, laddove il numero di italiani carcerati supera quello degli stranieri. Ricapitolando, quindi, caro capo della polizia Franco Gabrielli. L’aumento degli stranieri in Italia non c’entra nulla con l’aumento della criminalità, anche perché più aumentano gli stranieri, più la criminalità diminuisce, semmai. La clandestinità e l’impossibilità di comminare agli stranieri misure alternative al carcere, invece, c’entrano un po’ di più. E allora forse bisognerebbe abolire il reato di immigrazione clandestina o aumentare le pene alternative al carcere aiuterebbe a risolvere il problema. Magari a dirla così, oggi avremmo qualche razzista in meno convinto che chiudendo le frontiere saremmo tutti più sicuri. E magari pure qualche decreto che nel nome della sicurezza discrimina gli stranieri. Che ne dice?

La lettura di oggi : Vivere in Italia senza cittadinanza

Un illuminante (per chi ne avesse bisogno) articolo del quotidiano on-line “Open“, pubblicato ieri

Io, giornalista di Open, vivo in Italia senza cittadinanza. Ecco perché non è lo stesso

di Olga Bibus

Mi ricordo quella volta che a 16 anni dovevo partire per un gemellaggio in Olanda con i miei compagni di scuola. Tutto pronto, valigia in mano, stavo per salire sull’aereo quando sono stata bloccata all’ingresso. L’hostess mi ha fermata: «Scusi, ma con il permesso di soggiorno non può partire». Tutti si sono girati a guardarmi.
Come se fossi una trafficante di droga, mi hanno portata in uno stanzino con la professoressa che doveva accompagnarci nel viaggio. Erano stati allertati gli agenti della polizia di frontiera e, per farmi partire, la direttrice dell’aeroporto ha dovuto firmare un’autorizzazione. L’ha fatto perché ha avuto buon senso e ha capito la situazione.
Ora, ho 29 anni, e ci farei una risata. Allora mi ricordo la vergogna, la confusione, e nella mente continuavo a ripetere: «Vi prego, fatemi andare con i miei amici».
Mi ricordo anche quando tre anni fa ho fatto il concorso per entrare nella scuola di giornalismo. Sapevo che era troppo costosa, tentai lo stesso il test. Arrivai prima in graduatoria. Decisi allora di provare a chiedere un prestito in banca, uno di quelli ad honorem per gli studenti che si laureano con il massimo dei voti.
Ricordo la persona che visionò la mia pratica, mi guardò e disse: «I requisiti ci sono, ma non hai la cittadinanza, non possiamo concederti un prestito». Mi arrabbiai tantissimo, scrissi al direttore di banca. Il prestito mi fu concesso. Di nuovo grazie al buon senso di una persona.
L’elenco è lungo, include tanti «mi ricordo»: da quella volta che sono stata esclusa dal progetto Erasmus, e ho dovuto lottare contro la burocrazia per poter partire, a quella in cui ho rischiato di perdere il mio primo lavoro perché l’Ordine dei giornalisti si rifiutava di riconoscermi il praticantato.
Per sbloccare la situazione sono intervenuti i direttori della mia scuola e il presidente dell’ordine delle Marche dove sono iscritta. È così la vita degli italiani senza cittadinanza, legata al buon senso delle persone. Speri sempre di incontrare qualcuno che capisca la situazione, che chiuda un occhio, che guardi oltre la burocrazia.

CHI SONO
Mi chiamo Olga, sono nata 29 anni fa vicino a Odessa, al confine con Russia e Ucraina. Sono venuta in Italia con mia mamma a 7 anni. Quando è caduta l’Urss, lei ha perso il suo lavoro da insegnante ed è dovuta partire, portandomi con sé.
Oggi alla Camera riprende l’esame della legge sullo ius culturae che dovrebbe semplificare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza italiana ai ragazzi come me. E mentre nei palazzi si parla di politica, di quanto approvare una norma simile sia “troppo di sinistra” quindi “impopolare”, di come «la cittadinanza non possa essere regalata», la mia domanda per ottenerla, da quattro anni, è chiusa in qualche cassetto del Viminale.
Sul sito del ministero dell’Interno, da mesi, se cerco il numero della mia pratica compare scritto: «Sono in corso verifiche istruttorie». Inutile mandare mail, sollecitare e chiedere chiarimenti. Intanto tra poco scadrà il bando per il concorso in Rai, e io devo ringraziare di avere un lavoro, perché se non lo avessi non potrei nemmeno accedere alla competizione: il mio permesso di soggiorno è in via di rinnovo.
Nel 2017, quando la legge sullo ius soli si arenò in Senato, non lavoravo ancora come giornalista, leggevo però i giornali e mi arrabbiavo perché passava l’idea che la cittadinanza fosse un “semplice foglio di carta”, che in fondo ci si poteva sentire italiani anche senza. Mi arrabbiavo perché non avere la cittadinanza per chi come me ha studiato, vissuto e lavora in Italia porta con sé una serie di ingiustizie e ostacoli pratici con cui ci si scontra quasi quotidianamente.
Mi ero promessa allora che se un giorno fossi diventata giornalista, nel mio piccolo, avrei cercato di portare il focus sul vero problema. Un problema pratico, reale, che tocca la vita di migliaia di ragazzi come me. Un problema di quelli in cui il colore politico dovrebbe entrare molto poco.

La lettura di oggi: Tentare di essere felici

Ho ritrovato questo articolo di qualche anno fa che mi era piaciuto molto e ho deciso di proporvelo.

Ormai non importa più cosa fai ma come lo fai. Riprendiamoci le scelte

di Fabio Genovesi, dal Corriere della Sera Speciale Digital Edition dell’1/1/2014

La crisi ci obbliga a seguire i desideri

Passione. Una parola abusata, appiccicata ovunque, quasi insopportabile dopo anni di pubblicità che ce l’hanno buttata addosso nel tentativo di farci comprare macchine, orologi, liquori.

Eppure è proprio la Passione, quella vera, che oggi resta in piedi e scintilla tra le macerie di un mondo dove macchine e orologi non si vendono più, e a guardarsi intorno la sensazione è quella di non avere più una destinazione o una strada da prendere. Ma è una sensazione che può durare un attimo solo, poi dobbiamo respirare a fondo e ricominciare a camminare. Perché non è vero che il mondo finisce, finisce solo un nostro modo di vederlo, e un altro orizzonte ci aspetta smisurato e intatto, tutto da scoprire passo dopo passo.

E per muoverci in questa nuova realtà, senza più strade battute, senza cartelli o mappe satellitari a guidarci, la nostra stella polare è appunto lei, la Passione. O meglio, le Passioni, perché ognuno è mosso dalle sue, diversissime tra loro ma in comune hanno il fuoco che ci fanno sentire dentro. E se nella nostra vita di un tempo le passioni ce le tenevamo per il giorno libero, per la domenica mattina o le vacanze estive,costringendole nei ritagli di un’esistenza standard e incasellata, adesso che lo standard non esiste più saranno loro, le passioni, a scandire i nostri giorni.

E allora ecco che quel sogno eterno di «fare quello che mi pare», sogno che l’epoca del benessere e delle grandi possibilità ci ha proibito severamente, ci balena davanti proprio adesso che in teoria tutto è diventato impossibile. Basti pensare ai ragazzi di qualche anno fa (non molti, ma sembra un secolo), che si mettevano a imparare un mestiere solo perché era quello dei genitori, oppure si iscrivevano alle solite università del buon senso : giurisprudenza, ingegneria, economia e commercio… le famose facoltà che «poi dopo trovi lavoro». Molti arrivavano all’età delle grandi scelte, sopprimevano le inclinazioni più intime e si tappavano il naso per immergersi in anni di studi che detestavano, mettendosi in fila per il percorso di una carriera che prometteva rispetto e sicurezza, in attesa dell’età pensionabile in cui avrebbero finalmente potuto stare dietro a quel che gli piaceva, se ancora ricordavano cos’era.

Solo alcuni sventurati visionari, orribili pecore nere nate per portare sconcerto in famiglia, osavano allontanarsi da questo cammino sicuro per assecondare uno schizzo dell’anima che li chiamava altrove,dedicandosi scelleratamente ad attività eccentriche e rischiose o iscrivendosi alle facoltà della disgrazia : lettere, filosofia, scienze politiche… nomi che erano feroci coltellate al cuore di ogni genitore.

Adesso invece, che tutto sembra diventato così difficile, almeno queste scelte sono cento volte più semplici: oggi che le vie sicure non ci sono più, il rischio e l’impresa diventano ingredienti obbligati,e la famosa obiezione «ma se studi filosofia poi dopo cosa fai?» non regge più,perché vale per qualsiasi studio, qualsiasi scelta di vita. Oggi che tutto traballa nell’incertezza, forse proprio la prudenza è la più cieca follia. Siamo nati in un mondo che aveva obiettivi chiari, in fondo a strade ben asfaltate e più o meno dritte, che ti chiedevano solo di percorrerle per arrivare fino là. Tu dovevi metterti un paio di scarpe comode, infilare nello zaino la ragione, il buon senso, le regole e l’esperienza di chi già c’era passato, e partire.

Adesso invece quelle strade non portano più da nessuna parte, e se le prendi impazzisci brancolando tra sabbie mobili, ponti pericolanti e vicoli ciechi. Le scelte assennate e tiepide non funzionano più,perché erano calibrate su un mondo che ha smesso di stare in piedi, e crollandosi è portato dietro i suoi luoghi comuni, i suoi ritmi e le convenzioni.

Adesso le strade bisogna costruircele da soli.Non potendo più essere «pendolari della vita», per forza saremo pionieri,saremo avventurieri che col machete si inventano una direzione nel folto misterioso di questa giungla tutta nuova. Oggi infatti non importa più cosa fai, ma come lo fai. Con quale intensità, con quanta convinzione ed entusiasmo.Saper prendere la passione che abbiamo dentro e applicarla al quotidiano,incarnare il suo calore e la sua potenza in qualcosa che possa scaldare anche gli altri. Ne sono testimonianza le storie raccontate qua, di persone che hanno saputo guardarsi intorno e trasformare la propria passione in un’idea, in un progetto, in qualcosa che riesce a muovere la realtà. Storie di sogni,occasioni, sfide, nate dall’immaginazione ma anche dalla necessità.

Credo che leggerle sia il modo migliore per cominciare il nuovo anno col petto gonfio e gli occhi rivolti a questo nuovo infinito orizzonte. E lasciare che le nostre passioni, insieme a quelle dei protagonisti qua raccontati, comincino a disegnare la mappa di questo mondo,una mappa necessariamente vaga e tutta da affinare, ma tracciata con coraggio e con una grande voglia di perdercisi dentro.

Ecco perché, anche se può sembrare assurdo,proprio questo scenario di difficoltà, di crisi e di perdita dei riferimenti,può diventare la clamorosa occasione per prendere sul serio le nostre passioni,ascoltarle fino in fondo e lasciare che ci mostrino dov’è che dobbiamo (anzi,vogliamo) andare. Può diventare insomma la dolce necessità che ci obbliga a vivere come in realtà dovremmo fare sempre: tentando di essere felici.

La lettura di oggi: Lezioni da tener presenti

Racconti di origine sconosciuta ma… simpatici direi.

Lezione n° 1

Un uomo va sotto la doccia subito dopo la moglie e nello stesso istante suonano al campanello di casa. La donna avvolge un asciugamano attorno al corpo, scende le scale e correndo va ad aprire la porta: è Giovanni, il vicino. Prima che lei possa dire qualcosa lui le dice: “ti do 800 Euro subito in contanti se fai cadere l’asciugamano!”

Riflette e in un attimo l’asciugamano cade per terra… Lui la guarda a fondo e le da la somma pattuita. Lei, un po’ sconvolta, ma felice per la piccola fortuna guadagnata in un attimo risale in bagno. Il marito, ancora sotto la doccia le chiede chi fosse alla porta. Lei risponde: “era Giovanni”. Il marito: “perfetto, ti ha restituito gli 800 euro che gli avevo prestato?”

Morale n° 1:

Se lavorate in team, condividete sempre le informazioni!

 

Lezione n° 2

Al volante della sua macchina, un attempato sacerdote sta riaccompagnando una giovane monaca al convento.

Il sacerdote non riesce a togliere lo sguardo dalle sue gambe accavallate.

All’improvviso poggia la mano sulla coscia sinistra della monaca. Lei lo guarda e gli dice: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Il prete ritira subito la mano e si perde in mille scuse. Poco dopo, approfittando di un cambio di marcia, lascia che la sua mano sfiori la coscia della religiosa che imperterrita ripete: “Padre, si ricorda il salmo 129?” Mortificato, ritira la mano, balbettando una scusa. Arrivati al convento, la monaca scende senza dire una parola. Il prete, preso dal rimorso dell’insano gesto si precipita sulla Bibbia alla ricerca del salmo 129.

“Salmo 129: andate avanti, sempre più in alto, troverete la gloria…”

Morale n° 2:

Al lavoro, siate sempre ben informati!

 

Lezione n° 3

Un rappresentante, un impiegato e un direttore del personale escono dall’ufficio a mezzogiorno e vanno verso un ristorantino quando sopra una panca trovano una vecchia lampada ad olio. La strofinano e appare il genio della lampada.

“Generalmente esaudisco tre desideri, ma poiché siete tre, ne avrete uno ciascuno”. L’impiegato spinge gli altri e grida: “tocca a me, a me….Voglio stare su una spiaggia incontaminata delle Bahamas, sempre in vacanza, senza nessun pensiero che potrebbe disturbare la mia quiete”. Detto questo svanisce. Il rappresentante grida: “a me, a me, tocca a me!!!! Voglio gustarmi un cocktail su una spiaggia di Tahiti con la donna dei miei sogni!” E svanisce. Tocca a te, dice il genio, guardando il Direttore del personale.

“Voglio che dopo pranzo quei due tornino al lavoro!”

Morale n° 3:

Lasciate sempre che sia il capo a parlare per primo!

 

Lezione n° 4

In classe la maestra si rivolge a Gianni e gli chiede: ‘Ci sono cinque uccelli appollaiati su un ramo. Se spari a uno degli uccelli, quanti ne rimangono?’

Gianni risponde: “Nessuno, perché con il rumore dello sparo voleranno via tutti”.

La maestra: “Beh, la risposta giusta era quattro, ma mi piace come ragioni”.

Allora Gianni dice “Posso farle io una domanda adesso?”

La maestra: Va bene.

“Ci sono tre donne sedute su una panchina che mangiano il gelato. Una lo lecca delicatamente ai lati, la seconda lo ingoia tutto fino al cono, mentre la terza dà piccoli morsi in cima al gelato. Quale delle tre è sposata?” L’insegnante arrossisce e risponde: “Suppongo la seconda… quella che ingoia il gelato fino al cono”.

Gianni: “Beh, la risposta corretta era quella che porta la fede, ma… mi piace come ragiona”!!!

Morale n° 4: Lasciate che prevalga sempre la ragione.

 

Lezione n° 5

Un giorno, un non vedente era seduto sul gradino di un marciapiede con un

cappello ai suoi piedi e un pezzo di cartone con su scritto: “Sono cieco, aiutatemi per favore”. Un pubblicitario che passava di lì si fermò e notò che vi erano solo alcuni centesimi nel cappello. Si chinò e versò della moneta, poi, senza chiedere il permesso al cieco, prese il cartone, lo girò e vi scrisse sopra un’altra frase.

Al pomeriggio, il pubblicitario ripassò dal cieco e notò che il suo cappello era pieno di monete e di banconote.

Il non vedente riconobbe il passo dell’uomo e gli domandò se era stato lui che aveva scritto sul suo pezzo di cartone e soprattutto che cosa vi avesse annotato.

Il pubblicitario rispose: “Nulla che non sia vero, ho solamente riscritto la tua frase in un altro modo”.

Sorrise e se ne andò.

Il non vedente non seppe mai che sul suo pezzo di cartone vi era scritto:

“Oggi è primavera e io non posso vederla”.

Morale n° 5: Cambia la tua strategia quando le cose non vanno molto bene e vedrai che poi andrà meglio.

 

Se un giorno ti verrà rimproverato che il tuo lavoro non è stato fatto con professionalità, rispondi che l’Arca di Noè è stata costruita da dilettanti e il Titanic da professionisti….

Per scoprire il valore di un anno, chiedilo ad uno studente che è stato bocciato all’esame finale.

Per scoprire il valore di un mese, chiedilo ad una madre che ha messo al mondo un bambino troppo presto.

Per scoprire il valore di una settimana, chiedilo all’editore di una rivista settimanale.

Per scoprire il valore di un’ora, chiedilo agli innamorati che stanno aspettando di vedersi.

Per scoprire il valore di un minuto, chiedilo a qualcuno che ha appena perso il treno, il bus o l’aereo.

Per scoprire il valore di un secondo, chiedilo a qualcuno che è sopravvissuto a un incidente.

Per scoprire il valore di un millisecondo, chiedilo ad un atleta che alle Olimpiadi ha vinto la medaglia d’argento.

Il tempo non aspetta nessuno. Raccogli ogni momento che ti rimane, perché ha un

grande valore. Condividilo con una persona speciale, e diventerà ancora più importante.

La lettura di oggi

Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto.
Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente e causa del suo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.

Se avete pensato “non è ancora diventato capo del governo” avete equivocato. Quello che avete appena letto è un brano scritto da Elsa Morante nel 1945 e, ovviamente, si riferiva a Mussolini.

Sipario.