No vax, no-mask, complottisti e chi più ne ha più ne metta…

Un’ impressionante – nel senso che fa impressione solo immaginarla – riunione di persone che speri sempre possano esistere in pochi esemplari da poter contare sulle dita della mano e che invece ti rendi conto sono davvero troppe, e contano, votano, fanno danni. Mi era sfuggita questa manifestazione che si è svolta a Firenze domenica, ma il giornalista Lorenzo Tosa mi ha fornito questo articolo che devo dire mi ha gettato un po’ in depressione, soprattutto per i commenti che sono stati scritti  su Facebook e che a voi risparmio (ma se volete proprio farvi del male potete vederli a questo link) .

Ieri pomeriggio, a Firenze, è andato in scena uno degli spettacoli più raccapriccianti degli ultimi anni: una sorta di raduno nazionale dell’intero complottismo italiano che, in una sola piazza, ha messo insieme No-Vax, No-Mask, negazionisti del Covid e complottisti del 5G, al grido di “Non cielo dicono” e brandendo – stuprandola – la Costituzione.

Ovviamente tutti assembrati senza alcun rispetto minimo delle norme, delle distanze di sicurezza, né alcuna protezione individuale.

Anzi, quei pochissimi che ieri hanno “osato” indossare la mascherina sono stati scherniti, offesi, presi in giro.

Tra gli interventi – tenetevi forte – Stefano Montanari, il complottaro denunciato più o meno dall’intera comunità scientifica per le sue bufale conclamate sul Coronavirus; Cosimo Massaro, noto “esperto” di signoraggio bancario che s’ispira a Ezra Pound; infine Gheri Guido, un Dj di Scandicci la cui emittente è stata chiusa per istigazione all’odio razziale. Perché odio e ignoranza vanno sempre a braccetto. Sempre.

Insomma, il peggio dell’Italia ieri era in piazza Santa Croce. E no, non sono quattro gatti. Sono tanti, tantissimi, troppi: cervelli all’ammasso manovrati e sfruttati da pochi furbi che su quell’ignoranza lucrano e prosperano.

In democrazia ognuno è libero di esprimere le proprie idee.
Solo che, alla fine, il concetto è sempre quello: il loro diritto all’idiozia finisce dove comincia il diritto di tutti alla salute.

E stiamo un filo cominciando a perdere la pazienza.

Ancora sull’App Immuni

Quasi ogni giorno discuto su Facebook con conoscenti che sostengono di non aver scaricato l’App Immuni per i motivi più vari, tra cui anche la privacy ovviamente. Del resto anche Salvini, così riservato, ha affermato la stessa cosa.

Ma a parte queste gustose divagazioni, vi voglio proporre un esaustivo ed interessante articolo di un esperto, il giornalista Riccardo Luna, pubblicato su Repubblica di qualche giorno fa.

Sembrava che per causa loro dovesse addirittura finire la nostra libertà, oppure, secondo gli ottimisti, finire la pandemia, e invece delle app di contact tracing improvvisamente non si parla più. Proprio ora che ci sono. Eppure qualcosa va detto, perché ci serve a capire come sono andate davvero le cose rispetto alle promesse e agli allarmi.
Nel Regno Unito, per esempio, che baldanzosamente aveva annunciato di voler prendere una strada tecnologicamente diversa, sganciata dalla soluzione proposta da Apple e Google e molto più invasiva dal punto di vista della privacy, siamo alla farsa: la app rilasciata a maggio non ha mai funzionato e qualche giorno fa il fondatore di Wikipedia Jimmy Wales, accusando il governo di aver raggiunto le vette più alte dell’incompetenza, si è offerto di svilupparla lui, gratis, in due settimane, ovviamente a partire dal protocollo Apple-Google.
Dalla parte opposta c’è la Germania, dove c’è stato un intenso dibattito sulla privacy, e che anche per questo motivo forse è arrivata per ultima a lanciare la sua app (Corona Warn App, sviluppata da Deutsche Telekom e SAP), ma che in pochi giorni ha superato di slancio i 10 milioni di utenti.
Per dire, noi, che siamo stati tra i primi a lanciarla, con Immuni, che è in tutto simile alla app tedesca, siamo fermi a 3 milioni e mezzo. Perché così pochi? Difficile spiegarlo, visto che secondo indagini autorevoli circa 23 milioni di italiani sarebbero disponibili e farlo e altri 10 lo farebbero avendo più informazioni.
Probabilmente influisce la percezione di una pericolosità calante del virus che pare confermata dai bollettini quotidiani; e poi in Germania la Merkel stessa si è spesa personalmente per chiedere ai suoi concittadini di scaricarla con un video messaggio ad hoc postato sui social sabato scorso (da noi il presidente consiglio ha infilato un riferimento a Immuni al quarto minuto di un discorso in cui si parlava di altro).
Ma in Italia pesano anche dubbi che possono apparire banali a utenti esperti ma non in un paese che è appena stato classificato come il peggiore d’Europa quanto alle competenze digitali dei suoi cittadini. Qualche giorno fa per esempio sono stato invitato in un popolarissimo programma televisivo a rispondere alle domande più frequenti dei telespettatori. Me le sono annotate, con le risposte, perché magari servono a convincere qualcuno.
Ho scaricato l’App Immuni ma come e quando vengo avvisato se entro in contatto con un positivo? Ogni giorno la app consulta una banca dati del ministero della Salute e avvisa l’utente se nei 14 giorni precedenti c’è stato un contatto stretto con una persona che successivamente ha scoperto di essere positiva.
Chi mi garantisce che i miei dati non vadano in mano a soggetti non autorizzati? La app è sviluppata a partire da una modifica del sistema operativo per telefonini di Google ed Apple che è pubblico e tutti hanno potuto verificare. A sua volta anche il codice sviluppato in Italia è stato pubblicato ed ispezionato. I dati, cifrati, raccolti dalla app, restano sullo smartphone e vengono cancellati ogni 14 giorni. Oltre al parere positivo del Garante della Privacy, va registrato il test fatto dall’associazione di consumatori Altroconsumo che ha concluso con il verdetto: “Privacy rispettata”.
Scaricare l’App Immuni è obbligatorio? No, non lo è in nessuna democrazia. Ed era una delle raccomandazioni fatte dall’Unione Europea ai paesi membri.
Posso disattivare l’App Immuni se decido di non usarla più? In qualunque momento, e non accade nulla. Si può disattivare temporaneamente spegnendo il bluetooth, o si può disinstallare.
È vero che l’App Immuni è efficace solo se la usa “almeno il 60 per cento degli Italiani”? No, questa è una delle leggende che girano per una interpretazione sbagliata e superficiale di una ricerca invece molto seria fatta dall’università di Oxford che sostiene che, in assenza di qualunque altra misura di contenimento del virus, la app è efficace solo se la usano il 60 per cento dei cittadini. Ma le misura in atto sono diverse e importanti, a partire dalle mascherine e dal distanziamento sociale, quindi il traguardo è molto più basso. Ma come ha detto la Merkel sabato, “più persone la usano e maggiore sarà il beneficio”.
Cosa devo fare quando mi arriva l’avviso che sono entrato in contatto con un positivo? È uno dei passaggi più delicati e dalla cui implementazione dipende il successo dell’intera operazione: quando la app manda un avviso di aver registrato un contatto stretto l’invito è di autoisolarsi e contattare il proprio medico per fare subito il tampone; l’autoisolamento dovrà essere di 14 giorni a partire dal giorno del contatto stretto e non da quello della notifica. Certo, se poi il cittadino non può fare il tampone perché il sistema sanitario regionale non è organizzato, è un problema che però in queste tre settimane si è manifestato in pochisssimi casi.
Sono un pensionato, non mi posso permettere un cellulare moderno, come posso fare? La soluzione Apple-Google non funziona sugli smartphone più datati, ma ci sono telefonini Android da 60 euro su cui invece funziona. In ogni caso quelli che la scaricano contribuiscono a proteggere anche coloro che invece non lo fanno visto che rallentano la diffusione del contagio.
L’app Immuni chiede di indicare la regione e la provincia di residenza. Se mi sposto per lungo tempo come mi devo comportare? Nulla, quel dato serve solo a fini statistici, la app funziona su tutto il territorio nazionale e non segue gli spostamenti degli utenti (infatti non usa il Gps), ma rileva i singoli contatti senza registrare la posizione.
Ho un cellulare con poca memoria disponibile, posso comunque scaricare l’app? Sì certo Immuni pesa come un paio di foto.
Per far funzionare la app devo tenere sempre attivo il bluetooth che però consuma velocemente la batteria del mio cellulare. Posso attivare il bluetooth solo quando esco? Immuni è una delle app che consuma in assoluto meno batteria di tutte, meno dell’1 per cento al giorno.

Calderoli: ma c’è da vantarsene?

Il Corriere ha pubblicato un’intervista a Calderoli, nel quale l’illustre leghista si vanta di “giochetti” che ama fare in Senato. Perché in Senato si va per fare giochetti, per divertirsi, non per fare politica, no? Ma un po’ di vergogna, mai?

«Ho costretto molti a tornare a Roma per votare. Ma stamattina in Senato più d’uno degli esponenti della maggioranza mi ha detto: chapeau». Roberto Calderoli se la ride soddisfatto. In poche ore ha piazzato due sgambetti alla maggioranza giallorossa costringendo la presidenza del Senato prima a ripetere un voto (sul decreto che fissa le elezioni amministrative al 20-21 settembre) e poi ad annullare quello di fiducia successiva perché, come verificato dal senatore leghista, dato in assenza di numero legale.

Calderoli, lei è una sorta di Pierino.
«Faccio il parlamentare di opposizione. Seguo attentamente quel che succede in Aula e siccome conosco il regolamento a memoria quando è il caso lo utilizzo per mettere in difficoltà la maggioranza».

Perché conosce il regolamento del Senato a memoria?
«Perché nella scorsa legislatura ho ricevuto l’incarico bipartisan di riscriverlo. Quindi, ne conosco anche le virgole».

A differenza dei suoi avversari…
«Molti non sanno proprio nulla. Ma non mi faccia infierire».

Ma lei è un medico, che c’azzecca con regolamenti e articoli della Costituzione?
«E’ tutta “colpa” di Bossi. Fu lui che mi indicò come saggio in Cadore quando si trattò di discutere un progetto di revisione della Costituzione. Lì ho scoperto un lato di me stesso che non conoscevo. Mi sono appassionato alla materia e siccome sono bergamasco, ho studiato tanto per essere il più preparato possibile. Fin da quando andavo a scuola, sono sempre stato un secchione».

Giovedì cosa è successo in Senato?
«Si stava discutendo il decreto elezioni in vista della sua approvazione. Mi sono guardato attorno in Aula e ho notato larghe assenze nelle file della maggioranza. Li ho contati uno a uno: c’erano 27 senatori. Noi eravamo in una cinquantina».

E lì ha calato la sua carta.
«Ho fatto un blitz. Visto che nessuno aveva chiesto, come possibile, il voto elettronico, io ho avanzato la richiesta di procedere per alzata di mano. Il risultato è stato a nostro favore. E lì è scoppiato il finimondo».

Sono state chiuse le porte e si è rivotato.
«Esatto, ma nel frattempo sono riusciti a rientrare non meno di 30-40 senatori della maggioranza. Questo perché i parlamentari non sono solo nei loro banchi ma anche sulle tribune dove non ci sono i questori a controllare. E quindi molti hanno potuto farla franca».

Poi si è votata la fiducia, ma lei è riuscito ancora una volta a far saltare tutto.
«Sì, perché non mi tornavano i conti con quello che avevo visto in Aula. E allora ho chiesto la verifica del numero legale. Ed è emerso che il via libera è arrivato senza i numeri necessari. Ergo, si è dovuta annullare la votazione e riconvocare l’Aula».

Ma lei si diverte così?
«Ripeto, sono un senatore dell’opposizione. Io ci provo sempre, tutto quello che posso fare per mettere in difficoltà la maggioranza lo tento. Purtroppo, per un anno (tra il 2018 e il 2019) sono stato in maggioranza e sono dovuto rimanere tranquillo…».

Adesso va all’attacco.
«Sì, perché molti della maggioranza il regolamento non lo conoscono o non lo capiscono».

Lei non è nuovo ad iniziative del genere. Quale ricorda con più piacere?
«Quella volta che era atteso il premier Massimo D’Alema per comunicazioni sulla politica estera. Io presentai una risoluzione che recitava: sentite le comunicazioni, le si approva. Figuratevi: le forze di sinistra non potevano votare un documento a mia firma e fecero mancare il voto al loro presidente del Consiglio. Una scena surreale».

Direi che il giornalista, Cesare Zapperi, non poteva chiedere che “Ma lei si diverte così?“. Ed infatti l’ha chiesto…

La Polizia e i Decreti Sicurezza: parliamone

Ma quindi i Decreti Sicurezza di salviniana memoria, approvati grazie anche a Di Maio ed ai 5Stelle – che per questo ora non ammettono di averlo fatto solo per compiacere il Capitone  e sono restii ad abolirli -, anche a gran parte delle forze di Polizia non piacciono, contrariamente a quanto ci vorrebbe far credere l’ex ministro dell’interno, sempre pronto ad indossarne una  divisa. Illuminante, direi, questo articolo a firma Edoardo Izzo pubblicato qualche giorno fa su La Stampa.

ROMA. Partenza a razzo della petizione online, lanciata da Daniele Tissone – segretario generale del sindacato di polizia della Cgil, il Silp – nella quale si chiede la revisione dei cosiddetti “decreti sicurezza” varati dal precedente governo negli anni 2018 e 2019. In 24 ore, infatti, sono oltre 4 mila le firme raccolte sul portale change.org. Nella petizione, che porta la firma di Tissone, si legge che «pur valutando in maniera positiva alcune parti, come ad esempio lo stanziamento di risorse, sebbene esiguo, per le lavoratrici e i lavoratori in divisa e per il miglioramento delle dotazioni di apparati di videosorveglianza degli Enti territoriali, si avverte forte la necessità di abrogare immediatamente questi raffazzonati decreti sicurezza che si pongono in stridente contrasto con la nostra Costituzione». Una posizione, quella del sindacato, non contraria dunque alla totalità del decreto, ma solo ad alcune parti. «Ci sono alcuni aspetti che noi auspichiamo vengano mantenuti in un ulteriore provvedimento», spiega a La Stampa Tissone, aggiungendo: «A luglio del 2019 in commissione affari costituzionali alla Camera dei Deputati avevamo espresso perplessità su parte di questi decreti, che non hanno nulla a che fare con la sicurezza». Secondo Tissone, infatti, il tema vero dei decreti – fortemente voluti dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini – è quello dell’immigrazione e non la sicurezza. E in Italia, a parere del segretario del sindacato di polizia Silp-Cgil, non vi è un aumento della commissione di reati. «Il trend sui reati ci porta un quadro diverso, – dice Tissone – mai come negli ultimi 10 anni l’Italia ha avuto un tasso di denunce così basso».

La petizione
I due “decreti sicurezza”, «varati dal precedente governo dietro forti pressioni politiche dell’ex ministro dell’Interno Salvini e approvati a scatola chiusa dalla maggioranza parlamentare dell’epoca, hanno tradito in primo luogo gli obiettivi che demagogicamente e artatamente sono stati propagandati per approvarli: garantire maggiore sicurezza ai cittadini e dare alle forze di polizia la capacità di operare in maniera più concreta, rapida ed incisiva», scrive nella petizione online Tissone che porta alcuni esempi. «Si pensi ad esempio all’abolizione della protezione umanitaria e alla soppressione degli Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, che ha prodotto 2 effetti: tantissime donne e uomini senza lavoro, senza casa e senza documenti in giro per le nostre città e i nostri paesi, col rischio di diventare manovalanza ancor più sfruttata da organizzazioni criminali e imprenditori senza scrupoli, nonché un pesante aggravio del lavoro di polizia e carabinieri proprio in ragione di una maggior presenza di queste persone fuori da centri e strutture di accoglienza che, pur con tutti i limiti, garantivano la possibilità di un controllo cogente. La collocazione ex lege di un grande numero di soggetti in condizione di illegalità forzata comporta la contestazione di un maggior numero di violazioni penali ed amministrative che si abbattono sui già sofferenti uffici di Prefetture, Procure e Tribunali».

«Per non parlare poi della specifica disposizione “contra naves” che, nell’ambito dell’asserito e sventolato contrasto all’immigrazione clandestina, mette a rischio la vita dei migranti – famiglie, donne, bambini – negando nei fatti il soccorso in mare e che assegna alle Prefetture una potestà sanzionatoria non prevista dal nostro ordinamento, in violazione del principio di divisione dei poteri, sottraendola al vaglio democratico di un soggetto autonomo ed indipendente qual è la magistratura». Non solo, le critiche di Tissone sono anche per «l’introduzione di uno sgangherato strumento investigativo che permette lo svolgimento di operazioni sotto copertura per il contrasto all’immigrazione clandestina, strumento che snatura le funzioni del poliziotto, facendolo pericolosamente scivolare ad agente provocatore le cui condotte sono tra l’altro punibili!». Infine, «occorre rivedere le norme relative alle pubbliche manifestazioni: dietro il demagogico annuncio dell’inasprimento delle pene per i manifestanti violenti, infatti, si nasconde non certo la volontà di tutelare cittadini e forze di polizia quanto l’obiettivo di limitare la libertà di espressione e di pensiero. Ed è ben strano che oggi, a fronte di legittimi provvedimenti di limitazione delle nostre libertà legati all’emergenza sanitaria, chi ieri proponeva strette illegittime di principi costituzionalmente garantiti oggi, dall’opposizione, contesti energicamente norme che si sono rese necessarie per motivi di salute pubblica, così come tra l’altro previsto dalla nostra Carta».