Avevo già scritto su Rita Pavone alcuni anni fa dicendo che non capivo certe sue uscite su Twitter ma che la rispettavo come artista. Su twitter spesso ho risposto a certe sue prese di posizione ed a certi sui “mi piace” o “ritwitt”, ma ovviamente sempre con rispetto ed educazione. Non è nel mio stile essere maleducato. Eppure la signora Pavone mi ha bannato. E ora dice che non è di destra e che si arrabbia quando qualcuno le dice che è fascista. Sarà…(da La Repubblica)
Viva la pappa col pomodoro lo canterebbe ancora, «perché non dimentico il bicamere di Borgo San Paolo a Torino, dove vivevamo in sei». Però due anni fa intimò ai Pearl Jam che chiedevano di aprire i porti di «farsi gli affari loro». Al governo c’era Matteo Salvini che di quel tweet disse: «Finalmente una voce fuori dal coro». Quando tornò a Sanremo non pochi pensarono a una medaglia della Rai a trazione sovranista. Ma lei si arrabbia: «Mai avuto rapporti con la politica. Sono andata al Festival perché avevo una bella canzone. E su quella storia dei Pearl Jam non avete capito niente».
Ne riparliamo. Perché questo è solo il punto di partenza di Storia sociale di Rita Pavone, un curioso (e avvincente) saggio di Alberto Gagliardo dove la biografia della ragazzina-prodigio dei 60’s si specchia con quella della nazione. Del resto nella storia della cultura di massa l’irruzione di Pel di carota significa tante cose: l’invenzione dei giovani, appetibile fetta di mercato del dopo baby boom, la gestione rassicurante delle tensioni generazionali, il primo azzardo in termini di ambiguità sessuale. Un Gian Burrasca femmina nell’Italia democristiana non passa inosservato. Una “tempesta del successo” perfetta, destinata a deflettere – ma non all’estero – con l’ingresso del suo feticcio nell’età adulta.
Dopo i favolosi anni 60 per l’artista Rita Pavone è un saliscendi di alti e bassi, fino al palco dell’Ariston nel 2020 e alla raccolta RaRità; ma per la cittadina Pavone gli ultimi sono anche gli anni delle polemiche. Un’uscitaccia su Greta Thunberg, della quale prontamente si scusa. Invece sui Pearl Jam no. «Sono stata fraintesa» insiste. Eppure, dalle pagine del suo libro, Gagliardo vede nell’avventura che da Studio Uno conduce a Twitter un Paese che ha perduto la connessione con ciò che è stato ed è ora incapace di riconoscersi nella sua storia.
«Iosento di essere rimasta coerente» replica lei. «Sarò anche sovranista ma divento furibonda se qualcuno mi definisce fascista. Una parte della storia della mia famiglia è fatta di fuga dalle persecuzioni e di emigrazione. Il prossimo che lo scrive lo querelo».
Ma che vuol dire per lei essere sovranista?
«Vuol dire amare l’Italia, in modo viscerale. A questo Paese devo tutto, e lo ricambio con un attaccamento viscerale. E comunque quel tweet non c’entrava niente con Salvini».
Insomma: chiedevano di aprire i porti che il vicepremier teneva chiusi.
«Mi sono esibita in tanti Paesi ma non mi sono mai permessa di immischiarmi nelle scelte politiche del Paese che mi ospitava. È una questione di rispetto. Con Trump che stava costruendo il muro al confine col Messico vengono da noi a fare i professorini?».
Ma i porti li vuole chiusi o no?
«Io non ho né gli strumenti né le competenze per valutare e giudicare le questioni politiche. La mia è stata una reazione istintiva in difesa del mio Paese».
Salvini l’ha mai chiamata?
«No, mai. Gliel’ho detto, non ho mai avuto rapporti con la politica. Da giovane mi presentarono Togliatti, che fu un gran signore. Sapeva che mio padre, pur essendo un operaio, non era comunista ma monarchico, eppure parlò benissimo di me e non mi mise mai i bastoni tra le ruote».
Nessun pentimento, insomma.
«Se si riferisce al tweet, sì e no. Di quello che volevo dire non sono assolutamente pentita. Di averlo fatto usando i social network sì, perché sono uno strumento che provoca un’infinità di equivoci».
Non ha l’età per postare?
«Esatto. Sono linguaggi che la mia generazione non conosce. Si comincia dicendo A e alla fine quella cosa diventa B».
Si arrabbia se la definiscono fascista. Si è posta il problema quando si candidò con Mirko Tremaglia, ex repubblichino, nella circoscrizione estero?
«Certo che me lo sono posto. E infatti avevo rifiutato la sua proposta. Poi però lui mi fece un discorso molto personale, che riguardava la memoria di suo figlio, scomparso prematuramente. Un discorso che mi commosse. Accettai per questo».
Torniamo un attimo indietro. Nel libro, Gagliardo la definisce il prototipo della «ribelle ma per gioco». Era consapevole che con lei il mercato culturale di massa inventava il pubblico dei giovani?
«L’ho capito solo dopo. E me l’ha fatto capire Umberto Eco. Ma l’immagine “maschile”, l’ambiguità sessuale di cui tanto si discusse, non fu affatto costruita a tavolino. Andò in modo molto più semplice: vidi Vacanze romane e mi innamorai del taglio di capelli di Audrey Hepburn. Li tagliai allo stesso modo e tutto cominciò. Certo incarnavo un modello femminile completamente diverso da quello delle fatalone dell’epoca».
Era corteggiata?
«Sì, e anche parecchio. Sentivo su di me l’attenzione degli uomini, mi accorgevo dei segnali».
Poi l’amore con Teddy Reno, lo scandalo, la fuga.
«Era il più figo di tutti, ed è ancora figo oggi che ha 94 anni. Potevamo sposarci ovunque, meno che in Italia. Non c’era ancora il divorzio. Quindi lo facemmo in Svizzera».
Dove ancora vive. Perché se ama tanto l’Italia non ci torna?
«Perché i miei figli sono nati qui, la mia famiglia è cresciuta in Svizzera. Ma ci tengo a dire una cosa: pago le tasse anche in Italia, per ogni cosa che faccio sul territorio italiano. Le mie risorse al mio Paese le porto, eccome se le porto».
Se le chiedo se è di destra, di sinistra o di centro?
«Rispondo che sono di centro, liberale. Non mi piacciono le ideologie, cose intelligenti si possono sentire da ogni parte. Ecco questo per me significa essere liberali: ascoltare tutti».
Il sovranismo è un’ideologia, signora Pavone.
«Gliel’ho detto che cosa significa per me sovranismo: amare il mio Paese».
Ha votato al referendum?
«Certo che ho votato, voto sempre. Ma non le dico cosa».
E a Sanremo ci torna?
«Se avrò un’altra bella canzone, ci torno di sicuro. Ma da me non aspettatevi altri tweet. Mio figlio mi ha vietato l’uso dei social».
Troppo tardi però, dico io.