Che cos’è lo stato di emergenza

Ce lo spiega un articolo, come sempre chiaro e preciso, de Il Post

Venerdì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che «ragionevolmente, non si deve sorprendere nessuno, ci avviamo verso una proroga dello stato di emergenza» che era stato deciso lo scorso 31 gennaio per gestire l’epidemia da coronavirus. Le parole di Conte non contenevano nessuna informazione sorprendente – lo sarebbe stato il contrario – eppure hanno generato da subito una certa agitazione, dovuta probabilmente al significato equivoco dell’espressione “stato di emergenza”, uno strumento giuridico che viene usato regolarmente dai governi di mezzo mondo.
L’agitazione seguita all’annuncio di Conte lo ha spinto a diffondere una parziale smentita, in cui ha spiegato che è una decisione ancora da prendere, cosa che peraltro aveva già chiarito ieri. Su diverse prime pagine, lo “stato di emergenza” è descritto strumentalmente come un mezzo con cui Conte vorrebbe attribuirsi «pieni poteri»: in realtà è molto più semplice e meno allarmante di così. È uno strumento che attribuisce grandi poteri, e il cui utilizzo da parte del governo va quindi osservato e giudicato con attenzione: ma è anche necessario e fondamentale per gestire un’epidemia. Specialmente in vista di un possibile peggioramento della situazione in autunno.
Lo stato di emergenza, infatti, consente al governo e alla Protezione Civile di usare procedure più snelle per emanare e fare applicare le misure necessarie per contenere un qualche tipo di problema caratterizzato, per l’appunto, da una natura emergenziale. Si può trattare di una calamità naturale, ma anche di problemi di viabilità legati al traffico: uno stato di emergenza infatti può anche riguardare una questione estremamente locale, come un singolo tratto di autostrada in cui sono frequenti gli imbottigliamenti.
L’attuale stato di emergenza per il coronavirus era stato dichiarato lo scorso 31 gennaio, quindi quasi un mese prima dei primi casi di contagio da coronavirus registrati ufficialmente in Italia. Dato che è una misura con una durata di sei mesi, scadrà il 31 luglio, e per continuare ad avere a disposizione gli strumenti utilizzati finora per contenere e gestire l’epidemia il governo deve necessariamente rinnovarlo per un altro periodo, che probabilmente sarà di nuovo di sei mesi.
Lo stato di emergenza è regolato dalla legge 225 del 1992, che ha istituito il Dipartimento Nazionale della Protezione Civile. All’articolo 5 vengono definite le caratteristiche della misura, che è consentita per «calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo, che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo».
Lo stato di emergenza è quello che ha permesso al governo di emanare le misure che definivano il lockdown senza passare per l’approvazione delle camere, cosa che ne rallenterebbe enormemente l’applicazione, sfruttando i decreti ministeriali (i DPCM). È evidentemente un grosso potere per il governo, ed è normale e legittimo che il modo in cui viene sfruttato sia oggetto di discussione e critica. Ma è anche l’unico mezzo a disposizione del governo per agire con tempistiche sufficientemente rapide, adattandosi all’evolversi dell’epidemia anche di settimana in settimana, come avvenuto nei mesi di marzo, aprile e maggio. Rapidità che potrebbe diventare fondamentale soprattutto se in autunno la situazione del contagio dovesse nuovamente peggiorare.
Conte ha spiegato che la proroga dello stato di emergenza non significa che il virus non sia sotto controllo, ma che sono necessari comunque strumenti speciali per poter intervenire tempestivamente: per chiudere le scuole, ad esempio, ma anche per decisioni a livello locale, come la dichiarazione di “zone rosse” in occasione di focolai di contagio particolarmente preoccupanti.
Lo stato di emergenza garantisce anche poteri speciali al Capo della Protezione Civile, specialmente per quanto riguarda l’autonomia nell’approvvigionamento di materiale legato al contenimento dell’emergenza: per esempio i dispositivi di protezione individuale. Sono previste modalità più agili per l’assegnazione degli appalti, ad esempio, e coperture economiche speciali per gli stanziamenti legati all’epidemia, come quelli volti ad aumentare i posti letto delle terapie intensive. Sempre sfruttando lo stato di emergenza erano state modificate dal governo le modalità di accesso allo smart working, rendendolo più facile per esempio per i genitori con figli sotto i 14 anni. Allo stesso modo, nell’ambito dei poteri attribuiti dallo stato di emergenza sono stati decisi i blocchi ai voli e agli ingressi da determinati paesi.
Per prorogare lo stato di emergenza serve una decisione del Consiglio dei ministri. Anche se non è formalmente necessario, dopo le agitazioni provocate dall’annuncio di Conte la presidenza del Consiglio ha anticipato che potrebbe comunque passare per un’approvazione in Parlamento, che garantirebbe maggiore legittimità alla proroga. Questo passaggio è stato confermato dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che ha anticipato che il voto si terrà martedì, aggiungendo: «mi auguro che sia l’inizio di una democrazia compiuta, perché in Parlamento e al Senato siamo ormai gli invisibili della Costituzione». Il leader della Lega Matteo Salvini ha già detto di non essere d’accordo, sostenendo che «gli italiani meritano fiducia e rispetto» e che «la libertà non si cancella per decreto».

Inutile dire che a me sembrerebbe una decisione davvero doverosa e che, come sempre, quello che strillano Salvini e Meloni sia da irresponsabili come quando dicevano che bisognava riaprire tutto a marzo…

Detto questo devo anche per correttezza segnalarvi un parere opposto di Sabino Cassese, giurista e accademico italiano e giudice emerito della Corte costituzionale, che sul Corriere di ieri ha scritto:

Sono molte le ragioni per non prorogare al 31 dicembre lo stato di emergenza, dichiarato il 31 gennaio e in vigore fino al termine di luglio. In primo luogo, manca il presupposto della proroga. Perché venga dichiarato o prorogato uno stato di emergenza, non basta che vi sia il timore o la previsione di un evento calamitoso.
Occorre che vi sia una condizione attuale di emergenza. Proprio per questo la norma del 2018, che regola la protezione civile, ha previsto un sistema molto semplice e rapido di dichiarazione dello stato di emergenza: basta una delibera del Consiglio dei ministri. Perché prorogare lo stato di eccezione, se è possibile domani, qualora se ne verificasse la necessità, riunire il Consiglio dei ministri e provvedere? Allora, non bisogna ricorrere a un provvedimento eccezionale, che istituisce un ordine fuori dall’ordinario, se non ve ne sono le premesse.
La proposta di proroga è stata affacciata con la motivazione dell’urgenza di provvedere, se la pandemia riprende forza. Ma l’urgenza non vuol dire emergenza. Il ministro della salute può, in base alla legge del 1978 sul Servizio sanitario nazionale, emettere ordinanze contingibili (cioè per casi non prevedibili) e urgenti in materia di igiene e di sanità. Il codice dei contratti contiene norme che consentono procedure negoziate senza previa pubblicazione di bandi di gara. Insomma, nell’ordinamento vi sono strumenti che consentono di provvedere celermente, senza creare di nuovo uno stato di eccezione che giustifica tutto (la legge sulla protezione civile prevede che durante lo stato di emergenza si può provvedere «in deroga a ogni disposizione vigente»). È buona norma che, se vi sono strumenti meno invasivi, si ricorra ad essi, prima di utilizzare quelli più drastici.
Un terzo buon motivo per non abusare dell’emergenza è quello di evitare l’accentramento di tutte le decisioni a Palazzo Chigi. E questo non solo perché finora si sono già concentrati troppi poteri nella Presidenza del consiglio dei ministri, o perché in ogni sistema politico una confluenza eccessiva di funzioni in un organo è pericolosa, ma anche e principalmente perché l’accentramento crea colli di bottiglia e rallenta i processi di decisione.
Da ultimo, la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza è inopportuna perché il diritto eccezionale non può diventare la regola. Proprio per questo sia la legge che lo prevede, sia la costante giurisprudenza della Corte costituzionale hanno insistito sulla necessaria brevità degli strumenti derogatori, perché non è fisiologico governare con mezzi eccezionali. Questi possono produrre conseguenze negative non solo per la società e per l’economia, creando tensioni nella prima e bloccando la seconda, ma anche per l’equilibrio dei poteri, mettendo tra le quinte (ancor più di quanto non accada già oggi) il Parlamento e oscurando il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, al cui controllo sono sottratti gli atti dettati dall’emergenza. Non dimentichiamo che Viktor Orbán cominciò la sua carriera politica su posizioni liberali.

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