La lettura di oggi – Jane Fonda sottobraccio a Greta Thunberg

Jane Fonda, 82 anni appena compiuti (in carcere), direi che ha le idee chiare. Vi propongo un suo articolo pubblicato sul New York Times e, in Italia, da La Repubblica (traduzione di Anna Bissanti).

Che io creda nel potere della protesta non dovrebbe sorprendere nessuno. È per questo che mi sono trasferita a Washington per dare il via ai Fire Drill Fridays, i venerdì di protesta, insieme a milioni di giovani che dall’autunno scorso hanno iniziato a manifestare in tutto il mondo. Tutti noi dobbiamo fare i conti con una dura realtà: il Pianeta si sta avvicinando a un punto di non ritorno, oltre il quale la distruzione degli ecosistemi sarà fuori controllo. Gli scienziati l’hanno detto chiaramente: ci restano meno di undici anni per dimezzare le emissioni, e altri venti per portarle allo zero e stabilizzare così l’aumento delle temperature entro la fine del secolo, onorando quanto previsto dagli Accordi di Parigi. L’estate scorsa – mentre gli incendi portavano devastazione in California e mentre i giovani come Greta Thunberg rammentavano a noi tutti con grande forza e determinazione che siamo l’ultima generazione in grado di impedire una catastrofe inammissibile – ho deciso che per me era arrivato il momento di fare di più. Sono molte le cose che possiamo fare. Possiamo unirci alle proteste, impegnarci nella disobbedienza civile e rischiare l’arresto. Ma dobbiamo anche vedere questo periodo politico decisivo e unico per quello che è. Benché gli scienziati siano concordi nel ritenere che viviamo un’emergenza climatica che esige un radicale cambiamento economico e sociale, il governo degli Stati Uniti non fa niente. Sia chiara una cosa: non è l’opinione pubblica americana a non voler porre fine alle guerre per il petrolio. Non è l’opinione pubblica a non volere un clima stabile, la tutela degli oceani, la salvaguardia di acqua e aria.

No. Diciamolo esplicitamente: il settore dei combustibili fossili da decenni sta dirottando il nostro sistema politico. Il Center for Responsive Politics ha documentato che nel 2018 e nel 2019 il solo settore petrolifero e del gas ha speso circa 218 milioni di dollari per esercitare pressioni lobbistiche. Oltre a ciò, gli interessi di questi settori hanno fatto sì che ai candidati al Senato e alla Camera e ai comitati di partito impegnati nel ciclo elettorale del 2020 arrivassero finanziamenti per circa 27 milioni di dollari. In pratica, gli interessi dei combustibili fossili stanno sovvertendo la nostra democrazia. Solo l’anno scorso, gli Stati Uniti hanno patito incendi, alluvioni e il mese più caldo di cui si abbia notizia, fenomeni provocati, almeno in parte, dal cambiamento del clima.

Quale è stata la reazione del presidente Trump? Ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi e abrogare 85 provvedimenti a tutela dell’ambiente. Di questo, però, non si dovrebbe stupire nessuno: dopo tutto, una volta non ha definito il cambiamento del clima “una bufala”? Anche il capo della maggioranza al Senato, Mitch McConnell, sta ostacolando gli sforzi per affrontare e risolvere la crisi del cambiamento climatico. Siamo arrivati a un punto di questa battaglia in cui l’unico modo per andare avanti è mobilitarsi ed eleggere politici che non agiscano in maniera difforme rispetto al loro mandato. Dobbiamo sconfiggere lo strapotere dell’industria petrolifera ed eleggere paladini dell’ambiente.

Vincere le elezioni: solo così riusciremo a dar vita a un’economia più giusta ed equa. Così potremo garantire alle prossime generazioni un Pianeta abitabile. Così potremo tutelare le terre e le specie che le abitano. La buona notizia è che sempre più elettori comprendono quanto sia indifferibile la sfida. Due terzi degli americani dicono che il governo sta facendo troppo poco per limitare le conseguenze del cambiamento del clima, tra cui un 90% di democratici e un 39% di repubblicani, secondo un sondaggio del Pew Research Center. Non dobbiamo votare candidati che accettano soldi dal settore dei combustibili fossili.

Greenpeace sta redigendo una graduatoria dei candidati sulla base del loro sostegno al Green New Deal e all’interruzione delle operazioni di estrazione dei combustibili fossili. Per mezzo del programma Change for Climate 2020, la League of Conservation Voters sta monitorando le dichiarazioni dei candidati in tema di cambiamento del clima. Il comitato politico del gruppo l’LCV Victory Fund, sta incrementando le sue campagne negli Stati indecisi. Ho visto nei dettagli questa strategia e vi assicuro che potremo vincere la battaglia contro il cambiamento del clima. Un giorno saremo chiamati a rispondere alla domanda: “Che cosa ho fatto, quando c’era ancora tempo, per proteggere il Pianeta e le specie che all’epoca lo abitavano?”. Dentro di me c’è ancora molta voglia di lottare. Il 4 novembre 2020, all’indomani delle elezioni, non voglio guardarmi indietro e chiedermi cosa avrei potuto fare di più.

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