Quota 100!

Avrete letto o sentito dell’invito rivolto dal nostro Ministro degli Interni Matteo Salvini al Presidente dell’INPS Tito Boeri che ha criticato la ventilata manovra economica che porterebbe alla sostituzione della legge Fornero con l’ormai celebre “Quota 100”.

Mi astengo dal commentare l’eleganza di questa uscita, che proprio non capisco perché debba iniziare con “da italiano”… Anche da leghista, da maschio latino, da Matteo, da automobilista, da fidanzato della Isoardi… ma non vedo cosa c’entri. Ma a parte queste amenità, vi confesso una cosa: in cuor mio in realtà spero davvero che la “quota 100” venga approvata ed entri in vigore presto. Io sto infatti per raggiungerla in pieno proprio questo mese e non mi dispiacerebbe per niente poterne usufruire. Però vorrei che potesse essermi erogata la pensione ancora per un po’ di anni  e che quindi lo Stato Italiano non andasse in fallimento. E allora: a chi credere?

Tito Boeri:  si è laureato in economia nel 1983 presso l’Università Bocconi, dove in seguito è stato docente ordinario e prorettore per la ricerca.[3]. Nel 1990 ha ottenuto il PhD in economia alla New York University. Nell’università milanese è stato il primo professore a introdurre un corso interamente in lingua inglese. Professore ordinario di economia del lavoro, svolge le proprie attività di ricerca presso l’IGIER dell’Università Bocconi. È stato direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, istituzione volta a promuovere la ricerca nel campo della riforma dei sistemi di welfare e dei mercati del lavoro in Europa, fino al momento della sua nomina a presidente dell’INPS. È stato consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione europea e del governo italiano, nonché senior economist all’OCSE dal 1987 al 1996. È inoltre research fellow del CEPR, del William Davidson Institute dell’Università del Michigan, del Netspar dell’Università di Tilburg e dell’IZA – Institut zur Zukunft der Arbeit (Istituto per il Futuro del Lavoro) a Bonn. È membro del Consiglio della European Economic Association. (da Wikipedia)

Matteo SalviniNel 1985, a 12 anni, partecipò a Doppio slalom condotto da Corrado Tedeschi su Canale 5 e nel 1993, a 20 anni, a Il pranzo è servito condotto da Davide Mengacci, all’epoca in onda su Rete 4. Salvini frequentò il Liceo Classico “Alessandro Manzoni” di Milano, dove si diplomò nel 1992, con una valutazione di 48/60. Si iscrisse quindi al corso di laurea in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Milano, per poi trasferirsi l’anno dopo al corso di laurea in Storia. Durante il primo anno di studi storici, Salvini – per potersi mantenere – lavorò presso la catena di fast food Burghy. A commento di questo periodo Salvini scherzò così: «Arriverà prima la Padania libera della mia laurea». In seguito, decise di abbandonare l’Università a cinque esami dalla conclusione del ciclo di studi – dopo 16 anni] –, senza aver conseguito una laurea.
Durante l’adolescenza e in gioventù frequentò assiduamente il centro sociale Leoncavallo, peraltro risultando tra i fondatori della corrente politica – in seno al Parlamento padano – dei Comunisti Padani di cui fu anche capolista, conquistando 5 dei 210 seggi disponibili. Di quel periodo dirà che: «Chi non ha mai frequentato un centro sociale? Io sì, dai 16 ai 19 anni, mentre frequentavo il liceo, il mio ritrovo era il Leoncavallo. Là stavo bene, mi ritrovavo in quelle idee, in quei bisogni». Nel 1994, in qualità di consigliere comunale del Comune di Milano, pronunciò il suo primo discorso pubblico per difendere il centro sociale Leonacavallo dallo sgombero disposto dal sindaco leghista Marco Formentini. (da Wikipedia)

A chi credere, eh???

Comunque, se avete ancora un po’ di tempo, vi lascio da leggere un interessante articolo di Sabino Cassese, sullo stesso argomento, ma scritto, sul Corriere della Sera, dopo una dichiarazione di Luigi di Maio.

«Se Banca d’Italia vuole un governo che non tocca la Fornero, la prossima volta si presenti alle elezioni con questo programma», ha dichiarato Luigi Di Maio il 9 ottobre scorso, commentando le valutazioni espresse dalla banca centrale in Parlamento sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. Dunque, per il vicepresidente del Consiglio dei ministri tutto il potere discende dal popolo ed è sempre il popolo che, mediante elezioni, deve pronunciarsi. La democrazia è ridotta ad elezioni e anche i vertici della Banca d’Italia debbono presentarsi all’elettorato o sottostare alla volontà del governo.

Questa è una versione romanzata della democrazia, che, invece, ha al suo interno poteri e contropoteri, non tutti con una investitura popolare diretta. Le corti giudiziarie, la Corte costituzionale, le autorità indipendenti, le università, sono corpi autonomi, alcuni garantiti come tali dalla stessa Costituzione.

L e persone che ne sono titolari non sono elette, ma scelte in altri modi, per lo più sulla base del merito, delle competenze, dell’esperienza, con competizioni aperte (concorsi). In questo modo si realizza il pluralismo del potere pubblico, si riconosce il potere della conoscenza, quello della competenza, quello del giudizio imparziale. Questo pluralismo serve a uno scopo fondamentale, quello di impedire la tirannide delle maggioranze, un pericolo segnalato nel 1788 da James Madison in America, nel 1835 da Alexis de Tocqueville in Francia e nel 1859 da John Stuart Mill in Inghilterra. Questi pensatori e uomini politici, le cui idee sono state alla base delle democrazie americana, francese e inglese, erano preoccupati di equilibrare i poteri dello Stato e di evitare che la maggioranza (popolare e parlamentare) imponesse alla società le proprie idee e le proprie pratiche, garantendo così i dissenzienti e i diritti individuali nei confronti dell’opinione e dei sentimenti prevalenti.

Un posto particolare, tra i poteri indipendenti, hanno le banche centrali. David Ricardo, nel 1824, auspicava la separazione istituzionale tra il potere di creare denaro e il potere di spenderlo e il divieto di finanziamento monetario del bilancio dello Stato. Più di un secolo dopo, Milton Friedman voleva che il sistema monetario fosse libero da interferenze governative. Nel 1981, per opere di Nino Andreatta e di Carlo Azeglio Ciampi, si realizzò il completo divorzio tra Tesoro dello Stato e Banca d’Italia, che fu liberata dall’obbligo di acquistare i titoli pubblici inoptati da banche e risparmiatori. Ora la Banca d’Italia fa parte del Sistema europeo delle banche centrali. Lo Stato italiano ha firmato un trattato secondo il quale il governo si impegna a non cercare di influenzare gli organi della banca centrale. La Banca europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote. Le banche centrali non possono avere istruzioni dai governi, né sottostare a loro direttive, i loro dirigenti non possono esser rimossi, le loro competenze sono esclusive, la loro indipendenza finanziaria e organizzativa è piena. Tutto questo per sottrarre la politica monetaria alle influenze dei governi, per assicurare la stabilità dei prezzi e il controllo indipendente dei tassi di interesse.

Di Maio, nel fare la voce grossa, ignora tutto questo e commette l’errore di confondere il governo con lo Stato, errore che commette di frequente, quando, ad esempio, invita presidenti di enti a dimettersi, o pretende che alti funzionari dello Stato godano della sua fiducia.

In un momento di «hybris», l’altro vicepresidente del Consiglio dei ministri ha detto, recentemente, che l’attuale governo rappresenta la volontà di 60 milioni di italiani. Sarebbe bene che ambedue i vicepresidenti ricordassero che hanno avuto complessivamente poco più di 16 milioni di voti, che rappresentano poco più di un terzo degli italiani con diritto di voto.

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