#Facciamolaconta

Per la prima volta, credo, gli attori italiani scenderanno in piazza – il prossimo 6 ottobre a Roma – per protestare. Sono gli oltre 2000 attori riuniti nell’Associazione “Facciamolaconta” che faranno sentire la propria voce in merito ai propri diritti negati. Sotto il video con il loro appello. Ma in realtà la manifestazione riguarda più categorie di lavoratori: i professionisti dello spettacolo e dei beni culturali, coloro quindi che, a vario titolo, si occupano del patrimonio culturale italiano.  Bisogna essere dalla loro parte, soprattutto in questo periodo storico.

APPELLO

Il 6 Ottobre a Roma chiamiamo a raccolta tutti i nostri colleghi, tutti i cittadini e in genere tutti coloro che abbiano a cuore il Patrimonio culturale e artistico di questo Paese, per la prima MANIFESTAZIONE PER LA CULTURA E IL LAVORO.

Siamo professionisti e lavoratori dello spettacolo e dei beni culturali: siamo attori, archeologi, antropologi, bibliotecari, professori d’orchestra, artisti del coro, diagnosti, autori, operatori museali, televisivi, archivisti, ballerini, tecnici, storici dell’arte, registi, musicisti, editori e tanto altro ancora.

Siamo coloro che, a vario titolo, si occupano del patrimonio culturale.

Tutti assieme ci siamo confrontati sulle criticità delle nostre professioni, sui temi della cultura e del patrimonio artistico, e siamo arrivati a costruire questa mobilitazione, per il futuro nostro e di tutto il Paese, in base a quanto recita l’articolo 9 della Costituzione: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Riteniamo più che mai necessario riportare la cultura ad un ruolo centrale nel nostro Paese affinché essa possa essere un vero strumento di crescita individuale e collettiva, di emancipazione, di libertà.

Il patrimonio culturale è il luogo dei diritti fondamentali della persona, uno spazio che non può piegarsi alla logica del profitto, perché deve servire i cittadini, “non clienti, spettatori o sudditi”.

La politica, negli ultimi decenni, ha svilito questo patrimonio considerandolo sempre più un affare (fonte di guadagno per pochi) anziché un pilastro del nostro Stato di diritto, al pari di sanità e istruzione. La “riforma culturale”, promossa dai precedenti governi di ogni colore, si è servita di una stampa compiacente per sciorinare dati relativi ad aumenti entusiasmanti di visitatori ed incassi, glissando sul netto peggioramento delle condizioni professionali, sulla mortificazione delle competenze, sull’uso indiscriminato di “volontari”, sulle continue richieste di lavoro gratuito, sul progressivo smantellamento di istituzioni storiche, sull’eccessivo utilizzo improprio di teatri, siti archeologici e sale museali.

Crediamo fermamente che ci sia una differenza importante tra lottare per il proprio posto di lavoro, come stiamo facendo, e lottare per difendere il bene comune; è una differenza di grado e di consapevolezza e la seconda istanza comprende la prima, mentre non è vero il contrario.

Alle nostre ragioni di lavoratori, e alle ragioni di più alto profilo democratico e costituzionale, si aggiungono implicazioni economiche. Infatti lo stesso documento di programmazione economico – finanziaria (DPEF 5/07/2002) sostiene che il nostro patrimonio culturale è “un potente fattore di attrazione e promozione del Paese, di importanza strategica per lo sviluppo di rilevanti settori“. Questo si traduce infatti nei 250 miliardi, il 17% del PIL, generati dal sistema produttivo culturale e creativo, il quale muove un indotto ancora più grande, costituendosi in tal modo come comparto fondamentale dell’economia italiana.

 

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