La lettura di oggi – La storia di un autobus e 23 contagi

Un interessante articolo de “Il Post” che fa riflettere, anche in vista della ripresa delle scuole e del conseguente aumento dell’utilizzo dei mezzi pubblici di terra.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista scientifica JAMA offre dettagli e valutazioni sul rischio di contagio da coronavirus sui mezzi di trasporto, e sul ruolo dei cosiddetti “super diffusori”. La ricerca ha ricostruito le vicende di un gruppo di persone che avevano effettuato un viaggio in autobus in Cina lo scorso gennaio, quando il virus stava iniziando a diffondersi da Wuhan nel resto del paese e poi del mondo. Stando alla ricostruzione dei ricercatori, in quella circostanza una sola persona causò il contagio di almeno 23 suoi compagni di viaggio in meno di due ore, mentre si trovavano su un autobus senza indossare mascherine. La vicenda era già stata raccontata in precedenza, ma il nuovo studio offre maggiori dettagli e valutazioni sulle modalità del contagio.

Il 19 gennaio scorso un gruppo di 67 buddisti aveva partecipato a un viaggio di andata e ritorno in autobus nella zona di Ningbo, a centinaia di chilometri di distanza da Wuhan, per raggiungere un tempio e partecipare a una cerimonia cui era seguito un pranzo. Nessuno di loro sapeva che a bordo ci fosse una persona – a quanto pare – inconsapevole di essere infetta: due giorni prima aveva partecipato a una cena con quattro persone di ritorno da un recente viaggio nella provincia dello Hubei, di cui Wuhan è il capoluogo. Avrebbe scoperto di essere malata solo una volta tornata a casa dopo la cerimonia al tempio buddista, anche se ci sono resoconti contrastanti su questa circostanza (un’altra ricerca pubblicata in Cina colloca la comparsa dei sintomi nelle ore prima del viaggio in autobus).

La cerimonia al tempio era stata organizzata all’aperto, quindi con minori rischi di contagio, ed era stata poi seguita da un breve pranzo al chiuso in un ambiente privo di aria condizionata. I fedeli erano stati trasportati con due autobus: uno con 67 persone (compresa la persona contagiosa) e uno con 60 persone, nessuna delle quali nei giorni seguenti avrebbe mostrato sintomi da COVID-19. Questa circostanza ha permesso ai ricercatori di mettere a confronto due scenari simili ma con esiti diversi, come in un esperimento di laboratorio.

Gli autori della ricerca hanno ricostruito una mappa dei posti sull’autobus e le posizioni dei vari occupanti, per capire come si fosse diffuso il contagio. La persona seduta alla sinistra di quella contagiosa è poi risultata positiva al coronavirus, mentre quella seduta alla sua destra non ha contratto il virus. Il contagio ha invece interessato diversi altri passeggeri, che si trovavano anche a sette file di distanza dal sedile della persona contagiosa.

I contagi sono per lo più avvenuti nei posti centrali e sul corridoio, rispetto a quelli nei pressi dei finestrini. È probabile che il sistema di aerazione dell’autobus, senza particolari filtri, abbia contribuito a far circolare le particelle virali. Studi simili, realizzati per esempio su una sala di un ristorante, avevano in passato evidenziato una circostanza simile legata alla diffusione del coronavirus tramite le correnti d’aria sviluppate da ventilatori e condizionatori.

Diversi ricercatori ritengono che le cose sull’autobus sarebbero potute andare diversamente se i passeggeri avessero indossato le mascherine. Stando alle ricerche più recenti e in fase di conferma, il loro impiego contribuisce a ridurre la circolazione del coronavirus, soprattutto negli ambienti chiusi, ed è utile sia per evitare che una persona infetta diffonda particelle virali nell’ambiente circostante sia per ridurre il rischio di inalazione da parte di chi le sta intorno.

Da tempo si discute sulle misure e le precauzioni da assumere sui mezzi di trasporto, soprattutto nel caso in cui si debbano affrontare viaggi di lunga durata. Mentre per il trasporto aereo non ci sono particolari limitazioni, perché si ritiene che i sistemi a bordo di filtraggio dell’aria siano sufficienti, in diversi paesi sono state introdotte regole per il distanziamento fisico a bordo di treni, autobus, tram e metropolitane. Su ogni mezzo di trasporto è comunque richiesto l’impiego della mascherina, proprio per ridurre i rischi.

Il nuovo studio si aggiunge al crescente numero di ricerche scientifiche sulla diffusione del coronavirus tramite l’aria, soprattutto negli ambienti chiusi e con scarsa ventilazione. Non sono però ancora completamente chiare le modalità del contagio, né perché in alcune circostanze un singolo individuo contagioso possa essere la causa di un numero molto alto di infezioni.

Ricercatori ed esperti raccomandano di ridurre il più possibile i rischi utilizzando le mascherine nei luoghi chiusi, e di ventilarli lasciando aperte le finestre nei periodi di permanenza al loro interno. Il costante ricambio d’aria permette di ottenere una considerevole diluizione delle particelle virali eventualmente emesse parlando, tossendo o semplicemente respirando. È una raccomandazione valida sia per i mezzi di trasporto (che lo rendano possibile) sia per gli ambienti di lavoro come gli uffici.

Anche se aggiunge elementi importanti sulle modalità di diffusione del contagio per via aerea sui mezzi di trasporto, è bene ricordare che lo studio descrive una combinazione di particolari circostanze: un lungo viaggio, un ambiente chiuso e affollato, la presenza di una persona nei primi stadi dell’infezione e quindi piuttosto contagiosa.

Se hai paura stai a casa

Ha fatto clamore in rete e anche sulla stampa il Pub Celtic House di Magenta che ha affisso sulla porta del locale questo avviso, ripreso da Tripadvisor.

Il locale è stato oggetto in rete di molte critiche per fortuna (anche se non sono mancati gli apprezzamenti). Massimo Gramellini ha scritto «Se pretendo che un pub italiano rispetti le leggi italiane sono un “covidiota”?»
Alla lettura della notizia pure io sono rimasto male pensando a quale punto di stupidità si può arrivare. Da un altro punto di vista, però, trovo che tutto sommato sia meglio questo comportamento “chiaro” ed esplicito, rispetto ai tanti locali dove ci si limita a esporre un cartello con le regole ma poi non vengano minimamente fatte rispettare. E, purtroppo, ne ho trovati tanti. Forse si pensa che il cliente abbia sempre ragione, ma in realtà, soprattutto su questo argomento, non è proprio così.  Io personalmente non ho voglia di litigare con gli altri clienti che magari entrano nel bar senza mascherina, senza aspettare che non ci sia assembramento al bancone, che entrano dall’uscita ed escono dall’entrata, che appoggiano sul bancone oggetti personali e altre scorrettezze simili.  Capisco che i gestori del locale non siano agenti di polizia, ma almeno alla clientela ricorrente dovrebbero farlo notare in modo che non si ripetano gli stessi errori tutti i giorni. Invece: nulla. E se lo fai notare ti guardano come se provenissi da Marte.  Personalmente ho già qualche esercizio commerciale in cui ho deciso di non andare più, preferendo quelli che invece le regole le rispettano ed almeno tentano di farle rispettare. Ovviamente eviterei sicuramente anche il Pub Celtic House di Magenta, in quel caso però anche segnalandolo alle autorità di pubblica sicurezza perché intervengano (e spero lo facciano ora che si è sollevato questo clamore).

Salvini e Ringo @barillagroup

L’account Twitter “Lega – Salvini Premier” il 30 agosto ha diffuso questa doppia immagine dove ha accostato ad una pubblicità del biscotto “Ringo” una foto di Salvini che fa lo stesso gesto di amicizia con un ragazzo di colore.  Anche il messaggio pubblicato con l’immagine – “Uniti si vince” – riprende lo slogan dei biscotti Ringo “insieme si vince”, che voleva comunicare  un messaggio di unità e amicizia.

I social si sono subito scatenati e tanti si sono chiesti se la Barilla, che produce i biscotti  Ringo, aveva autorizzato l’uso del proprio marchio. La risposta è arrivata

Spero che allora intervenga con un’azione legale a tutela della propria immagine, altrimenti è un po’ pochino direi…

Dalla Regione Sicilia 600.000 euro a Dolce e Gabbana

“La Regione Siciliana ha scelto Dolce&Gabbana, da sempre ambasciatore dell’Italia e della Sicilia nel mondo, per la direzione creativa di un programma mirato alla promozione e alla valorizzazione dell’Isola”. Entusiastiche le dichiarazioni dello stesso Governatore Nello Musumeci: “Il genio artistico e creativo di Domenico Dolce e Stefano Gabbana ha contribuito a diffondere nel mondo l’immagine solare e positiva della Sicilia. L’originalità e la qualità delle loro creazioni sono il miglior biglietto da visita per una regione in cui natura, colori, profumi, storia e cultura si fondono in un paesaggio talmente affascinante da colpire il cuore e la mente del viaggiatore e stimolare la fantasia di chi ancora non ha visitato questa splendida terra”. Per tutto ciò la Sicilia ha deliberato un contributo di quasi 600 mila euro alla Dolce & Gabbana srl con sede in Milano per il film “Devotion”, progetto della Maison lombarda con la regia di Giuseppe Tornatore.
Beh, ovviamente agli operatori dello spettacolo siciliani la cosa non è piaciuta molto, o meglio… per nulla. Ma non è tanto questo che mi ha colpito, perché queste polemiche sono abbastanza comuni nell’ambiente dello spettacolo. A colpirmi è sttao il videomessaggio che l’attrice catanese Carmela Buffa Calleo ha voluto indirizzare dai social proprio al Presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci. Chissà se gli è pervenuto: io spero proprio di sì perché davvero merita. Guardate qua e ditemi se non è bravissima: